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Il discorso del sindaco Filippo Sacchetti per il conferimento della cittadinanza onoraria a Paolo Nori

La cerimonia si è svolta venerdì 31 ottobre al Lavatoio

Data :

1 novembre 2025

Il discorso del sindaco Filippo Sacchetti per il conferimento della cittadinanza onoraria a Paolo Nori
Municipium

Descrizione

Il comunicato stampa

Buonasera a tutte e tutti, abbiamo scelto di accogliervi in questa serata speciale, con due nostri concittadini, protagonisti di una storia molto particolare: Raffaello Baldini, uno dei più grandi poeti dell’ultimo mezzo secolo, e Annalisa Teodorani, poetessa, erede della scuola santarcangiolese e Sindaca della Città della Poesia. Li abbiamo scelti perché Baldini rappresenta il principale anello di congiunzione tra Paolo Nori, Santarcangelo e il resto del mondo. Annalisa invece è l’elemento di unione tra le istituzioni che oggi rappresento (il Consiglio comunale e la Giunta), e lo sguardo poetico di tutta la comunità di Santarcangelo che accoglie Paolo Nori come un proprio, nuovo concittadino.

E che nuovo concittadino! Ormai da quasi 24 ore Paolo Nori è un santarcangiolese, o clementino come preferirà definirsi. Tra l’altro, proprio come oggi, coincidenza straordinaria, nasceva il 31 ottobre 1705, 320 anni fa, Lorenzo Ganganelli, Papa Clemente XIV.

Intanto vorrei partire, ringraziando Paolo per tante cose. L’ultima di queste è l’aver accettato di condividere con noi questo percorso, questa vita. Che è un po’ un’opera quotidiana, un po’ frutto di tanta sua ricerca ed esperienza, ed un po’ è senso e volontà di appartenenza.

Infatti la luce che una città come questa può regalare, per tante ragioni, è fatta anche del sentirsene parte.

Che è un pensiero che io ad esempio ho sempre anche per chi non ce l’ha fatta più a stare qui e per un qualche motivo se n’è dovuto andare.

Come quella frase di Pavese, che riporta anche il libro di Paolo “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via…”. Quando mi sono presentato per chiedergli di firmare la mia copia, citando proprio quella frase, Paolo mi ha detto, “eh ma voi un paese ce l’avete”. Da oggi, possiamo dire, ce l’abbiamo, insieme!

Così succede che, nei momenti in cui mi accorgo che qualcuno dal paese sceglie anche di andarsene, penso anche che dobbiamo fare uno sforzo e metterci in punta di piedi, per cercare di restare gente di provincia, umile e operosa, ingegnosa e solidale, ma non provinciale.

E per non essere provinciali, per resistere e accogliere questo mondo che cambia, noi abbiamo deciso ormai da diverso tempo di aprire le porte sul mondo e starci dentro con la cultura come strumento di lettura. Sapendo che se sai chi sei, sai meglio dove vai. Se sai chi sei accogli, ascolti, rifletti. Se conosci la tua identità, l’altro non ti fa paura.

Santarcangelo è una Città della Poesia. Ho sentito l’altro giorno dire a Mariangela Gualtieri “non chiedetemi cos’è la poesia, perché non lo so”. Ecco figuratevi se lo so io.

Però io so che qui c’è da undici anni un Cantiere poetico, che esiste in simbiosi con la città della poesia, e permette alla sua storia di rivivere nella tradizione tanto quanto nel tempo presente. Un cantiere, per sua definizione è un luogo mutevole, persino permanente (in Italia poi…), un luogo di lavoro spesso impossibile da portare a termine da soli. Per cui necessita di un insieme.

Le parole nella storia contano, e conteranno sempre.

 Annalisa, che ringrazio per essere con noi questa sera, ha letto poco fa una poesia straordinaria che dice: “quando stenderanno l’inventario dei miei beni, non troveranno altro che parole”. Ecco credo che tutti noi siamo fatti di quella cosa lì. Siamo fatti prima di tutto di parole. Parole che raccontano le nostre storie, che raccontano i nostri pensieri, che spesso anticipano le nostre azioni.

Dalle parole unite assieme nasce un linguaggio che non solo ci rende gli individui, ma la comunità, che siamo. Dalle parole che scegliamo per raccontarci, noi scegliamo il nostro racconto.

E allora ringrazio la città di Santarcangelo per aver scelto senza timore alcuno di abbracciare la pace, di mettersi nelle parole e nei fatti dalla parte di chi soffre, di chi è oppresso e non ha voce. Di aver assegnato alla cultura il compito di resistere e alimentare le coscienze.

Dalla parte del rispetto e dell’umanità, che è la precondizione che ci è data per poter sviluppare la civiltà. Contro le parole di un mondo che ancora oggi elogia la potenza delle armi a garanzia della tregua. Quelle non sono le nostre parole.

Il Cantiere poetico appena concluso ha fatto un grande lavoro su questo aspetto, indagando quella sofferenza, che può anche infastidire, ma che dobbiamo sentire appartenerci, come persone coscienti dei tempi che viviamo.

Lungo le vie del paese sono state lette poesie di poeti palestinesi, tratte dalla raccolta “Il loro grido è la mia voce”. Ne ha parlato con una declinazione di poetica nel sacro anche il cardinale Matteo Maria Zuppi, uno dei pochi a trovare il coraggio di leggere per ore i nomi di 12.000 bambini morti sotto quelle bombe.

A Gaza, nel grande sterminato numero di civili uccisi, ci sono due categorie prese particolarmente di mira, e in modo prioritario rispetto alle altre, che sono i poeti e i giornalisti. Portatori di verità, testimoni della realtà e capaci di risvegliare le coscienze in modo diretto, crudo. Da cuore a cuore.

Ecco può sembrare poco pertinente, ma tutto questo c’entra con il vivere in provincia senza essere provinciali, c’entra con l’essere in sintonia con questo mondo e con la cittadinanza a Paolo Nori.

E questa sera abbiamo scelto di essere qui, in uno spazio che fa parte della nostra storia, una storia che sentiamo di dover raccontare e che vogliamo continuare a scrivere aggiungendo capitoli preziosi.

E lo facciamo in uno dei luoghi simbolo della nostra cultura, che già diverse volte ha ospitato Paolo Nori negli anni passati, fin dal 2017 in occasione del Cantiere poetico quando fu invitato a parlare della relazione tra poesia e teatro in Nino Pedretti, Raffaello Baldini e Tonino Guerra assieme a Giuseppe Bellosi, Francesco Gabellini, Marco Martinelli e Ivano Marescotti. Poi nel 2024 ospite della rassegna InVerso, ideata da Massimo Roccaforte, in occasione del centenario della nascita di Baldini e sempre nel 2024 per presentare la sua ultima opera “Chiudo la porta e urlo”, poi tra i finalisti del Premio Strega.

Abbiamo voluto scegliere questo stesso luogo per consegnare a Paolo Nori un grande riconoscimento, la cittadinanza, che è molto più di un’onorificenza, è un vincolo tra di noi, tra Santarcangelo e Paolo che diventa parte della vita della nostra città, della nostra comunità e della nostra lingua. Una scelta che nasce dal riconoscere uno di noi, qualcuno che a sua volta ci conosce. Nelle sue parole e nel suo lavoro tornano i nostri poeti che gli fanno scoprire la nostra terra, diversa da come se l’aspettava: “La Romagna di Baldini è tutta diversa da come me l’aspettavo io, non è la Romagna allegra delle spiagge, delle discoteche, delle notti d’estate, non è la Romagna ottimista di Romagna e Sangiovese di Raoul Casadei, non è la Romagna del boom economico, è una Romagna diversa, intima, malinconica, un po’ incomprensibile, anche, difficile da s’cifrare, mia nonna quando doveva prendere una decisione diceva sempre Bisogna s’cifrare la faccenda.”

La poesia santarcangiolese entra nell’opera di Nori ma è molto più che contenuto. Penso a un aneddoto, che mi ha colpito e anche molto inorgoglito, che gli ho sentito raccontare nelle sue interviste: ogni 25 aprile condivide sul suo blog “I partigiani” di Nino Pedretti e in occasione del Primo Maggio condivide “I nomi delle strade”, sempre dello stesso autore. Ecco io trovo commovente che in queste due giornate, che per la nostra storia hanno un valore altissimo, Paolo Nori scelga proprio le parole di Pedretti per ricordare a tutti quel valore.

Ed è sempre una poesia di Pedretti che secondo Nori “dice che cos’è la letteratura”, che racconta, in un modo molto semplice, il motivo per cui si scrive, che fa così: “Non ditemi che il mondo è brutto, malato, ridotto in merda, il mondo ha bisogno di esser bello, anche se ti urla il core, anche se ti strappano le dita”.

Paolo Nori è emiliano, non conosce il dialetto santarcangiolese, ma parla la lingua di sua nonna Carmela, il parmigiano, ed è in quella lingua che sente di avere le radici, e la coda come scrive lui. «Mia nonna Carmela si chiamava Carmela» è la prima frase del suo primo romanzo. 

Sono quelle radici che alimentano il rapporto con la lingua di Paolo Nori, da cui nascono la sua ricerca e i suoi romanzi. Il suo costante lavoro sulla letteratura diventa un lavoro sulla materia di cui è fatta la letteratura: la lingua, che, per Nori, deve essere viva, parlata, quotidiana, deve saper restituire corposità al racconto, proprio come fa il dialetto, che restituisce il legame tra le parole e gli oggetti.

Baldini, co-protagonista di “Chiudo la porta e urlo”, sceglie il dialetto perché “ci sono situazioni, persone, paesaggi, storie, che succedono in dialetto”. In italiano, sostiene Baldini, vengono prima le parole delle cose, in dialetto vengono le cose prima delle parole. Raccontare in italiano vorrebbe dire tradurle e perdere spontaneità.

Raccontava Ivano Marescotti, suo grande interprete: «Baldini diceva col dialetto non si può parlare di Dio, semplicemente perché non ci sono i termini tecnici, grammaticali, per esprimere concetti teologici, filosofici. Ma, diceva Baldini, col dialetto si può parlare con Dio. E qui senti la intrinseca profondità del linguaggio, per quanto rozzo e dialettale, che assurge a tali altezze. Ma lui ribaltava subito l’effetto e metteva il concetto e la pratica con i piedi per terra. Diceva andate nell’osteria dove si gioca a carte e guardate i due che perdono. Loro con Dio hanno un rapporto diretto e un linguaggio alquanto esplicito… Tutto è dissacrato e contemporaneamente innalzato al massimo livello infondendo il respiro universale della sua alta poesia alla banalità della vita quotidiana».

Nori ricerca, attraverso una scrittura all’apparenza semplice, che non vuole perdere la spontaneità del racconto orale e della lingua parlata, quell’universalità che caratterizza la poesia di Baldini, “che a leggere Baldini” scrive “mi sembra che il mondo intero, di più, l’universo, è tutto a Santarcangelo. Santarcangelo, a leggere Baldini, è molto più grande di Milano, di Roma, di Londra, di Los Angeles, di Mosca, di Città del Messico, Santarcangelo non finisce mai, a leggere e rilegger Baldini”.

E attraverso le sue pagine e il suo continuo dialogo con la biografia e le poesie di Baldini, Nori fissa quelli che per la storia della nostra città sono veri e propri capisaldi. Non è solo un lavoro che si nutre della conoscenza delle opere di Baldini e di ricerca di archivio, ma un lavoro fatto di incontri e relazioni che conduce il lettore a scoprire Santarcangelo. 

“E’ un posto così, Santarcangelo” gli racconta Beltrambini “che ci son tre o quattro amici che a un certo punto dicono Bon, facciamo delle poesie, e si mettono a scrivere e diventano tra i più grandi poeti italiani”.

E’ così, col tono della chiacchierata tra amici, come accadeva al Caffè Trieste, Nori, introduce Guerra, Pedretti e Baldini protagonisti de E' circal de' giudéizi assieme a Flavio Nicolini, Rina Macrelli e Gianni Fucci, Federico Moroni, Giulio Turci e Lucio Bernardi.

Da questo gruppo di giovani poeti, artisti e intellettuali, che costituiscono una straordinaria esperienza culturale, in seguito al successo nazionale de I bu, di Tonino Guerra, arriva la consapevolezza dell’importanza della scrittura dialettale. Nel 1973, grazie anche all’impegno di Rina Macrelli e dell’intero gruppo, viene organizzato il Seminario popolare su Tonino Guerra e la poesia romagnola, spartiacque che segnò l’identità di Santarcangelo e della cultura italiana del Novecento.

La partecipazione al convegno di Tullio De Mauro, già noto linguista e filosofo del linguaggio, e il suo intervento hanno segnato la presa di coscienza per il nostro territorio e per il mondo accademico italiano, del fenomeno culturale rappresentato dal “Circolo del giudizio” e del gruppo di poeti dialettali che ne facevano parte.

Con queste motivazioni è stata conferita nel 2016 a Tullio De Mauro la cittadinanza onoraria della nostra città e questa sera, in un passaggio ideale di testimone, attribuiamo la cittadinanza onoraria a Paolo Nori con le seguenti motivazioni: per l’opera letteraria e divulgativa con cui ha dato voce e respiro nazionale alla poesia di Raffaello Baldini e ai poeti dialettali santarcangiolesi.

Prima di lasciargli la parola vi leggo l’autobiografia che Paolo ha pubblicato sul suo blog.

La biografia è poco interessante, per conto mio, comunque sono nato a Parma, nel 1963, mi sono diplomato da ragioniere nell’83, con un anno di ritardo (mi hanno bocciato due anni in quarta superiore e poi ho fatto due anni in uno), ho fatto il militare nell’84-85 (a Falconara Marittima e Piacenza), nel 1985 sono andato a lavorare, come ragioniere, in Algeria, ho lavorato, per l’Incisa di Parma, fino alla fine del 1986 in Algeria e dall’87 all’inizio dell’88 in Iraq, a Baghdad; nell’88 ho dato le dimissioni e mi sono iscritto all’università, lingue e letterature straniere, a Parma, mi sono laureato in russo nell’anno accademico ’93-94 con una tesi su Velimir Chlebnikov, nel ’95 ho fatto un po’ di lavori a vanvera, tipo facchino e cose del genere, son tornato qualche mese in Russia, nel ’96 ho ricominciato a lavorare all’estero, in Francia, a Nîmes, responsabile amministrativo per la posa di un gasdotto nel sud della Francia (artère du midi, si chiamava); nell’estate del ’96 ho dato le dimissioni, il 16 settembre del 1996 ho cominciato a scrivere, nel ’97 sono usciti i primi racconti, nel ’98 ho firmato il contratto per il primo romanzo che è uscito nel marzo del ’99 (Le cose non sono le cose).

Ultimo aggiornamento: 1 novembre 2025, 11:58

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