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Sprigionati - Pillola Storica 4

I custodi delle Carceri

Negli anni Sessanta dell’Ottocento, in seguito all’unificazione del territorio nazionale nel Regno d’Italia, cambiò profondamente il quadro legislativo e amministrativo. In ambito giudiziario ad esempio la gestione delle carceri, che in precedenza nello Stato Pontificio era a carico del Governo, passò in mano ai comuni e Santarcangelo non fece eccezione. 

Dai documenti conservati nell’Archivio storico comunale infatti risulta che, al tempo, l’organigramma delle prigioni cittadine era così configurato: a livello amministrativo Direttore era il Sindaco, Ludovico Marini che ricoprì la carica dal 1860 al 1865 e fu poi tra i fondatori della Società Operaia di Mutuo Soccorso; il personale sanitario e religioso era composto da quattro medici ed un chirurgo, ovvero non figurava nessun cappellano nonostante vi fosse l’oratorio; infine il personale di custodia, costituito unicamente dal guardiano, che aveva anche funzioni di coordinamento dei servizi esterni, quali il vitto e le pulizie.

E proprio sui custodi si possono ricavare informazioni molto importanti, a volte perfino curiose.

Ci si imbatte così nel quadro dei servizi di Davide Bagnoli, «sotto-capo guardiano» del carcere, nato a Savignano il 16 aprile 1825, sposato, con due figli e nominato custode nel 1845, poi confermato nel 1861.

Nel suo stato di servizio si legge che egli «è idoneo a svolgere l’ufficio presso le Carceri mandamentali», anche in ragione della pratica acquisita in circa un ventennio. Di indole e carattere pacifico, tuttavia «non si può nascondere che qualche volta abusi alquanto del vino», ma mai al punto da renderlo incapace al servizio. Di ottima salute, è abile a mantenere una certa disciplina nei carcerati, li tratta con molta carità ed è fedele.

Di diverso avviso era invece il Sottoprefetto di Rimini, che in una lettera inviata al Sindaco nel maggio 1864 si diceva preoccupato per l’evasione di alcuni detenuti avvenuta il mese precedente. Da alcune indagini infatti si era potuto verificare che «il medesimo, o per il troppo abusare del vino, o per gli acciacchi di salute si era ridotto già da qualche tempo inabile a fungere con quella attività». Il Regolamento in vigore richiedeva una certa solerzia ed energia e si era potuto constatare che il Bagnoli, proprio in virtù della sua «incapacità al servizio affidava totalmente le sue attribuzioni ad un fratello, che a bella posta, senza alcuna nomina governativa, teneva presso di sé nello Stabilimento carcerario», e che ignorando le grandi responsabilità che gli erano attribuite «usava tanta famigliarità coi detenuti fin da portarli seco lui a passeggio per le pubbliche vie del Paese»!

Per questi motivi Bagnoli fu sospeso e sostituito provvisoriamente da un nuovo guardiano, Vincenzo Lupacchini, nominato nel 1864.

Su di lui poco sappiamo, se non che ricoprì il ruolo di guardiano per circa un ventennio. Le uniche notizie rinvenute nei documenti dell’Archivio comunale riguardano alcuni episodi comunque interessanti.

Nel primo, avvenuto ad un mese dalla sua nomina, il Sottoprefetto di Rimini risponde ad una richiesta avanzata circa l’armamento del custode e l’esito è negativo: infatti, in base alle disposizioni allora vigenti, il personale di custodia delle semplici carceri mandamentali non aveva nemmeno l’obbligo di indossare l’uniforme, mentre «per il loro isolamento l’arma non può essere di vera utilità».

L’anno seguente invece ritroviamo Lupacchini a presentare una nuova istanza al Ministero dell’Interno, per ottenere una integrazione al proprio stipendio. Motivo della richiesta: sua moglie lo aiutava come guardiana delle carcerate. Anche in questo caso la domanda viene rigettata, poiché «le paghe attribuite agli agenti di custodia delle carceri, escludono ogni altra straordinaria gratificazione per qualsiasi titolo». Inoltre «se la moglie di esso presta assistenza alle donne detenute è ben compensata di tale opera col goduto alloggio nel locale delle prigioni per la condizione del marito». Le nuove disposizioni sulle carceri infatti contemplavano la nomina di agenti ammogliati, proprio per consentire un risparmio sulla custodia delle detenute.

Ancora, nel 1865 Lupacchini fa rapporto al «Nobil Uomo Sig. Conte Antonio Baldini Sindaco di Santarcangelo» (il nonno dell’omonimo noto scrittore), per avvisarlo che dalla inferriata rivolta verso le mura del gioco al pallone si possono «passare armi ai detenuti, come ancora qualche altro ordigno che potrebbe servirsene per mio danno». La soluzione proposta è quella di chiudere con dei mattoni l’inferriata in questione, per evitare di trovarsi «compromesso» verso i superiori e soprattutto della propria vita. Non abbiamo la risposta del Sindaco, ma immaginiamo che fosse stata positiva in quanto una annotazione dell’ing. comunale Zavagli conferma quanto esposto dal guardiano. 

Fonte: Archivio storico comunale di Santarcangelo di Romagna, Biblioteca “Antonio Baldini”

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