Sezioni

Racconti Sprigionati 2 | Che sagome quei clienti!

Il racconto Sprigionato di Rosetta Rina Tolomelli

Quella che racconto è una storia vera, verissima, la storia di una bambina di nome Rosetta che abitava in via don Minzoni, nel Borgo di Santarcangelo, e di come molti anni fa, più di settanta a contarli tutti, trascorreva i lunghi pomeriggi d’inverno.

Era da poco passata la guerra che, con il suo sconquasso, tutto aveva distrutto. La Rosetta non aveva né colori, né libri, né giocattoli per passare il tempo libero!

Ma aveva una matita, un lapis viola di quelli che non si cancellano, tante scatole di cartone e un paio di forbici. 

Ma se non possedeva nulla come faceva a possedere tali tesori? La sua mamma, di nome Onelia, aveva riaperto un piccolo negozio di merceria e vendeva filo di cotone, nastri, elastico, lana, calze, camicie, sottovesti….

Ogni volta che qualche scatola si vuotava, veniva buttata sotto il grande e vecchio bancone.

Lì era il regno di Rosetta che aveva trovato un bel da fare in quel nascondiglio, avendo scoperto che da sotto quel bancone, attraverso una fessura da cui entrava un po’ di luce, riusciva a spiare gli avventori del negozio di sua mamma. Quella era la sua finestra sul mondo, il posto di osservazione privilegiato su un teatro umano che le svelava, senza essere vista, caratteri, personaggi, storie.

E sapeste che tipi curiosi! Ad esempio, c’erano delle donne che vedendo la mamma riflessa nello specchio a lato dell’entrata (era una novità!) s’infilavano dritte dritte verso lo specchio esclamando: “Oh buon giorno Signora Onelia!” e… bum! davano delle zuccate incredibili. Una volta era successo anche al postino.

Ma andiamo per ordine.

La Rosetta, dopo aver ispezionato e scelto le scatole più lisce, era riuscita ad avere quel piccolo prezioso lapis viola con cui la mamma segnava i conti delle signore.

Con questo si metteva a disegnare, sui cartoncini, le sagome delle clienti; poi preso un paio di forbici, le ritagliava e dalla fessura del bancone, le faceva uscire alla luce, imitando la voce di qualche cliente particolare: “Onelia, am dé un ghéfal ad lèna gròsa macaròun, ch’ò da fè una brèta me mi Pirin? Sa che nivoun ch’u i è ad fura, l’à dó urèci ròssi cmè un pivaroun!

(“Onelia, mi date un gomitolo di lana grossa tipo maccherone che devo fare una berretta al mio Pirin? Con quel nevone che c’è di fuori, ha due orecchie rosse come un peperone!”).

La buona Onelia si lamentava: “Rosetta, non devi prendere in giro le clienti! E poi devi stare da qui a lì!”.

Quella bambina ero io e quei personaggi sono rimasti nella mia memoria. 

E qualcuno me lo ritrovo tra le mani, in pezzi di carta ritagliati settant’anni fa.

Torna al virtual tour