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Racconti Sprigionati 3 | L'incontro con il Ribisso

Il Racconto Sprigionato di Stefano Stargiotti

Correva l’anno 1969...

Quando il mattatoio comunale venne trasferito nella nuova sede di via Montevecchi nel 1924, portò con sé la tana del mitico Re delle bisce: “e’ ribéss” (il Ribisso), che secondo la mitologia popolare aveva la sua dimora proprio nel fosso di scarico del macello. Questo misterioso quanto temuto animale, che nessuno era mai riuscito a vedere, ma ben presente nelle raccomandazioni degli adulti, spesso veniva usato come minaccia o più semplicemente come spettro…

Io abitavo proprio “in faza mé pladéur” (dirimpetto al mattatoio) e insieme agli amici di rione ci trovammo spesso a dover scappare davanti a un vitellone, sfuggito ai macellai, che cercava una via di fuga nel nostro campetto da calcio! La qual cosa costringeva noi a salire sugli alberi, che ne segnavano il confine, per cercare scampo dal povero animale impazzito per il terrore. Ma lo spavento di quello non era paragonabile alla paura che il Ribisso sapeva incutere in noi bambini.

Va detto che allora le bande di bambini comprendevano tutti coloro che, per vicinanza abitativa ed età compresa fra gli otto e i sedici anni, si dedicavano al rito della raccolta della legna per la preparazione della “mucchia” (catasta) per la “fugaréina” (i fuochi di San Giuseppe), vera iniziazione di appartenenza: noi eravamo quelli della “Stazione Vecchia”, sempre in guerra con l’altra banda confinante, “Quelli delle Case Popolari”, composta dai coetanei di via Daniele Felici e dintorni.

Il nostro tempo era, per lo più, dedicato alle interminabili partite di calcio, alle sfide con le “cere e i pirulli”, cerbottane fatte con le cannette degli elettricisti e piccoli coni umettati ricavati da strisce di carta che fungevano da proiettili e alla raccolta dei materiali adatti alla combustione per la focarina…

Ma c’era un’altra attività che impegnava i nostri soleggiati pomeriggi estivi: l’esplorazione dell’ambiente circostante la nostra giurisdizione… e più selvaggio e misterioso era il terreno da perlustrare, meglio era.

Fu in una queste escursioni che ebbi modo di incontrare il Ribisso!

Quel giorno eravamo in cinque sulla sponda dell’Uso e ci eravamo spinti fin dopo il Calancone, nome dell’ultima curva conosciuta del fiume. Per noi il fiume era uno dei compagni di gioco più presenti. Conoscevamo tutti i “gorghi” (meandri) e gli “strisci” (aste fluviali) che lo componevano, ognuno con il suo nome: “e’ muraiòun” (il muraglione), “e’ gomit” (il gomito), “al venezi” (le venezie), “e’ stréss dla Pipéina” (l’asta della Peppina) e finalmente “e’ calancòun” cioè il Calancone.

Nessuno si era mai spinto oltre il Calancone e quel giorno, presi il coraggio a due mani e, seppur pervaso da un’apprensione palpabile data dall’incognito che stavo affrontando, decisi: vado avanti da solo!

Ora, non so se vi è mai capitato di metter piede in mezzo ai cocomeri asinini (Ecballium elaterium) in un caldo pomeriggio d’agosto. Solo con le ciabatte di plastica e i calzoni corti. Inoltre con la più che giustificata inquietudine che ogni esploratore che si rispetti prova nell’affrontare esperienze mai vissute da altri esseri umani…

Ecco… fu in lì, in una infinitesimale frazione di secondo, che ebbi la netta sensazione di essere morso alle caviglie da mille piccoli denti viperini, proprio mentre, al primo schianto del frutto che partiva rasente terra, ne seguivano molti altri in sequenza, in un crescendo di schizzi gelatinosi che si spandevano per il terreno circostante.

Una paura matta mi spinse a urlare con tutto il fiato che avevo in gola “IL RIBISSOOOO!!!”, mentre il terrore mi metteva le ali ai piedi.

Sono passati più di cinquant'anni, ma il ricordo antico di quegli avventurosi giochi bambini e il mio mitico incontro con quella figura fantastica mi gelano ancora con un brivido.

Peccato che i bambini di oggi non sappiano neanche cosa sia lo "sputaveleno"... E anche se mi è capitato di vedere dei videogiochi con dei mostri che a confronto il Ribisso è un pupazzetto di peluche, quella paura del mostro che nessuno vide mai, nessun videogioco potrà mai regalarla. A noi che la conoscemmo resterà comunque la panchina nei pratini di via Ruggeri a futura memoria dell’impareggiabile Ribisso.

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